Renato Filippelli

dai fatti al web

Dai fatti alle parole (2006)

…Di un ipersensibile agli obblighi di condoglianza

Aprile. Il bosco
delle querce chiomate a foglie nuove
è un tripudio di verde e di respiri.
Ma la poesia
dell’eteno ritorno
s’è arresa alla muraglia della mia
solitudine incredula e senile.
Il capriccioso aprile non ha ucciso
tutte le vecchie foglie del querceto:
alcune, gialle e grinze, sono ancora
sui rami. Penso il loro
destino, il loro duplice dolore:
la protratta agonia
e il monito alle foglie appena nate.

…Di un mancato dalla folgore

Sulla mia strada di Damasco
mancò la segnaletica
verso Gerusalemme. Quando
cadevo all’urto
dei Tuoi cavalli un altro si torceva
in me, Ti domandava
aspro e gemente:” Perché mi perseguiti?”

…Di un tardivo cultore del silenzio

“Dammi il silenzio,
l’oblio delle parole”. Questo dissi di seguito,
ora è molti anni ad una donna, e fu
letteratura. Adesso, inginocchiata
l’anima, lo dico a Te che sai
quasi adempiuta la mia storia. Svezzami
dalle parole, futile mia gloria;
dammi il silenzio che precede e segue
la vita, e veste di mistero
lene gli approdi all’ultima deriva.

…Di un evocatore di anniversari

Cinque anni fa, due
giugno novantasei.
Dormii profondo nella domus patris;
poi spire di dolore intorno al petto.
Infarto, dei “severi”. Ed io soffrivo
I figli, il mio diverso
passo al cammino con la madre loro,
e ancor più la parabola
dei talenti: vedevo la mia vita
come un fiume disperso in un frastaglio
di ristagni, lontano dalla foce.
Sull’ambascia del fiato risuonava
la memoria di un verso, ed era un grido:
“Dolce Signor, non mi lasciar perire”.

…Del padre di un giovane magistrato

Pierpaolo, ascolta. Un giorno
lontano, nella mia
stanzetta di ragazzo entrò tuo zio
Carlo, vestito e armato
da cacciatore. Voleva egli sorprendere
il fratello minore. Alto e possente,
rideva una raggiante
fierezza antica. Io ne tremai
nel cuore, perché vidi
in lui una persona
nuova in un presagio
di ignare crudeltà, vidi violenze
effuse, in gioco, al cielo degli uccelli.
Egli, senza guardarmi
gli occhi, uscì nell’alba.

Ora tu parti giudice a Catania.
Sei fiero e lieto come il volontario
d’una guerra che sente dura e giusta.
Che dirti? A sessant’anni,
Io sono ancora
il fanciullo sgomento di quell’alba.
Indulgi, o figlio, al cuore del tuo vecchio.
Il suo silenzio
si fa braccia all’addio,
ma non parole da gettare
oltre la nostra intesa di pudore.
E tu comprendi: sii
umano verso il crimine che nasce
dagli oscuri grovigli del dolore.

…Di un fantasista religioso al figlio bambino

Il sole zampillò dalle gramaglie,
e il cielo si rifece paradiso.
Io camminavo con Pierpaolo mio,
e dissi: “Sai, nella raggiera
del sole squilla la gioia di Dio,
scoppiano le fontane del suo riso”.

…Di un devoto alla morte come “ancilla Dei”

O morte, hai già giocato
con me, come un monello
che bussa e fugge via. Torna da buona
serva di Dio; prendi il mantello
di carne ch’Egli ha messo sul mio spirito.

…Di un interprete dei bisogni di Dio

Vivo per te,
se non di te, Signore onnipotente:
ma anche tu che sei
l’alfa e l’omega della luce tessuta fra i destini
del cielo e della terra,
hai bisogno di me, labile stria
nel buio. Forse il tuo vento
nell’infinito giro
ha bisogno degli alberi terreni
che gli dan voce, musica, lamento
e rinforzano il suo primo respiro.

…Di un fuoricentro consapevole e pentito

Meraviglia venata di paura
era al mio cuore di lapidatore
fanciullo il movimento disperato
del codino staccato alla lucertola.
Sotto la lapidatio della vita,
adesso ho in me quel muto
spasimo, ma non è
di cieca carne:è spasimo cosciente,
è nostalgia di un’unità
perduta al gioco, è pianto,
tardivo ormai, Signore,
dell’io che uscì dal centro
e, separato, fu separatore.

…Di uno scrutinatore del proprio destino

La bellezza sensibile del mondo
non mi seduce più, non basta al mio
amore dell’amore. Ascolto
l’Invisibile, so
che parla, ne distinguo
il richiamo nei gorghi del silenzio
o nel selvaggio
clamore dell’asfalto; ma non so
dove sia la sorgente della voce.

Dimmi, Signore Iddio, perché hai voluto
che mi perdessi sulle strade
della mia stessa anima,
e perché mai il tuo volto, scroscio
di sole a gloria, sboccio
di nube in folgore,
ora è per me una virgola di luna
spaesata e fioca, a pieno giorno, in cielo.

…Di un reduce incantato dal serpente

E allora presi per la “casorciara”,
cercando guadi
al gregge dei ricordi.
Vidi l’”agnone” fresco di letargo
acciambellato sotto la “pagliara”.
Gelai, quasi fuggii. Lui levò il capo
di rondine, scaglioso
ancora di terriccio, come
per farsi certo di una conoscenza.
Più tardi, dal frusciare
del fossato contiguo,
scoprii che mi seguiva,
e andammo insieme verso la fontana
del campo delle felci. Musicò
lieve gli steli del canneto,
poi s’immerse nell’acqua e, a pieno snodo,
ne uscì vivido e puro.
Si sperse per un tratto. Lo rividi
che saliva veloce la collina
del Ciesco, e un misterioso
impulso mi spingeva a seguitare
quell’azzurro trenino sotto il sole.

…Di un personale interprete dell’ulissismo

“Navigare
è necessario!…” Ma chi darà mai
al vecchio Ulisse il gusto e l’energia
di rimettersi in via sul vasto mare?

Quanto alla terra, stretta
nelle spire dei fiumi autostradali,
non ha misteri da svelare: ha mali
squallidi e noti. Resta all’ulissismo
il cielo. E Tu, Dio degli spazi, dona
il colpo d’ala, fa’ angelico il volo
all’ultimo dell’eroe navigatore.
Di là dal velo, dove
tace ogni guerra,
veda infine il suo errore:
ritenne il cielo parte della terra.

…Del padrone di Grinta

Grinta, cagna festevole, pazzarella di casa,
sei caduta sul tuo sangue,
di sette anni che ormai
all’anagrafe eri Grinta Filippelli.

Il vento arpeggia
sui rami, fa danzare
le foglie e gli scoiattoli
della quercia ai cui piedi sei sepolta.
Ma presto le acquate d’autunno
strazieranno i fiori che Chiara
sparge sul tuo rettangolo di pietre,
e tu sprofonderai dove più sorda
è la terra, vedrai che solitudine.

Piccola bestia con anima,
Dio si serviva di te
per dare a una famiglia battuta
dalla tempesta un tenero
lume di grazia, un riposo
sotto l’arcobaleno della bontà.

Verrà l’inverno. Folgori
scenderanno sui colli di San Marco;
e noi cosa daremmo per riudire
il tuo pianto, l’angoscia
delle tue unghiate sulla porta.

Nell’ora della tua morte
(fu morbo o perfidia di veleno?)
dissi a mia moglie: “Mimma, se un altro
mondo esiste per tutte le creature,
Grinta ti verrà incontro per lambire
l’ombra delle tue mani”. Pianse
la tua padrona per tutta la notte.
Diceva che eri stata
la sua unica amica.

…Di un crocifero nel fiume dei morti

Tutti i giorni che svolto
dietro Gusti,
verso Valogno, l’anima
diventa un vecchio burattino a molle:
leva le braccia. E stringe
il fiume d’ombre che lei sola vede
scorrere a fondo valle.

Qualcuno mi dispone sulle spalle
la croce di una storia millenaria,
e salgo a stento, lotto contro un’aria
folta di fiati, volti, mani ladre
d’antiche tenerezze. Mi trascino,
a fil di forze, ma sono felice
d’essere con mio padre e con mia madre.

Del nonno a Renato junior

Secondo tuo giorno onomastico.
Già sai molte cose, ma ignori
il vento che strappa il cappello
del nonno. Stasera
ti vedo girare fra i molti
miei libri e ritratti
e già riconosci te stesso,
tuo padre e tua madre nel fiore
del tempo. Vederti fanciullo
sarebbe il più caro dei doni,
e bello sarebbe insegnarti
il gioco che mette in parole
la vita. Ma è tardi. Sapessi
pregare, potresti
con quella tua voce ridente
fermare il cammino dell’ombra
verso il mio resto di cuore.

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