Renato Filippelli

dai fatti al web

Plenilunio nella palude

Qui riporto la parte conclusiva di una relazione che il Prof. Carmine Brasile lesse il 21 marzo 1998 nel Palazzo Vescovile di Sessa Aurunca.

Proprio quando il poeta intuisce necessaria ed irrompente la “volontà d’espiazione”, si sente come toccato sul cuore dal Padre Celeste, il quale gli accende dentro la favilla della preghiera, che gli risuona nell’animo con la suadente dolcezza del canto. L’anima di queste liriche del Filippelli è sempre una palpabile vibrazione di preghiera fervida e bisognosa al Signore, sia quando nel suo grembo si percepisce come dimentico e pacificato, sia quando sente la sua mano che incide, lacera e sparge “un dolore di palpiti”. Comunque, anche quando imprime il segno dolente, quella mano, disperdendo la “cenere”, rinnova e purifica, innalzando là dove s’accende e risplende sul volto “un fantastico sorriso”, il sorriso stupendo ed ineffabile di chi si riscopre nel miracolo sublime del cospetto beatifico del Signore. Al Signore, appunto, in uno slancio profondo di confessione autentica e totale, il FIlippelli comunica tutta la sua ansia di Lui, ansia che alterna momenti d’incerta trepidazione per la propria fragilità ed altri di rasserenante e come esultante accostamento “alle fonti della Grazia”. Questa poesia, con l’intatta verginità della confessione e della preghiera, rivela la sua anima attraverso una parola attinta alla sorgente più segreta e pura dello spirito, donde affiora con la sua eloquente limpidezza e si propone con il suo singolare sapore che consola o inquieta.
Ringrazio cordialmente il fraterno amico poeta per averci dischiuso, con questi suoi versi, il suo mondo interiore con il travaglio autentico della sua tensione a Dio, scoprendo alle radici un’ansia e un’esigenza dello spirito umano, teso al suo rasserenamento e alla sua esaltazione, se vuole evitare l’oscillazione permanente nella sua incertezza o la prigione soffocante della sua miseria.
Carmine Brasile

Contemporaneamente a questo saggio di Brasile, ho ricevuto dall’insigne critico Emerico Giachery, in occasione del capodanno 1999, questa lettera:

Caro Prof. Filippelli,
questo tempo sospeso natalizio, dell’anno che si conclude e invita a silenzi, è proprizio a rileggere la Sua poesia religiosa, così sofferta, così estranea a schemi, e perciò così creativa nella sua germinante tensione teologica (teologia nel senso più bello, che è per me quello pienamente etimologico, non scolastico ma aperto al sempre nuovo e mai incasellabile soffio dello Spirito). E’, il suo, un modo intenso, aperto, drammatico di vivere il colloquio con Dio, e la poesia religiosa che ne nasce non somiglia a nessun’altra. Dovrebbe, se ancora non lo è stata, essere oggetto di una delle tesi di laurea della Cattolica, proposte da Farinelli o Baroni.
Auguri affettuosi per questo scorcio di millennio nell’attesa del nuovo.
Suo Emerico Giachery

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