Libeccio - Folco Quilici
Per il romanzo di Falco Quilici
Libeccio (Un uomo che porta il nome di un vento alla ricerca della libertà)
In un linguaggio trasparente e terso, Folco Quilici, narratore di chiarissima fama in Italia ed altrove, racconta una storia di avventure: pionieristiche i cui protagonisti sono tre amici: Strale, Greco e Libeccio) che traggono il nome da quello di tre venti, a significare il loro anelito ad una libertà totale, fuori degli schemi e degli obblighi di una società coa1tiva che si autodefinisce civile.
Il fascino di una natura selvaggia, con le sue distese di neve, le sue montagne impervie e solitarie, i suoi silenzi misteriosi e solenni} attira e affascina il pensiero dei tre audaci e sollecita il loro ulissismo anarchico.
Essi diventano cercatori d’oro in Alaska, scavando una miniera d’argento, dove un brutto giorno esplode il grisou, uccidendo e carbonizzando Strale e Greco. Sfuggito alla tragedia, Libeccio raccoglie con dolorosa pietas i poveri resti dei suoi amici in una cassetta, deciso a portarla con sé fino al giorno della sua morte, avvenuta dopo il suo ritorno in Italia, nella casa della sorella Betta che lo ospita. Questa, per linee estremamente sommarie, la storia che forma l’ossatura del libro; ma Quilici è narratore troppo avveduto per accontentarsene; e così alla linea maestra del racconto intreccia episodi e vicende collaterali, provvedendo a raccordare gli uni e le altre al progetto di un’opera che non fosse soltanto un resoconto di fatti avventurosi, ma anche un emblema esistenziale, una rappresentazione dolente dello scacco che la fortuna riserva alla ricerca umana nel dominio del mistero.
A ben guardare, la costellazione tematica dell’ opera risulta ricca e varia; vi troviamo la ricerca di una nuova e più virile dimensione di vita, l’amicizia rude e fraterna, l’amore per la donna, sia pure breve e segnato dall’ incertezza del futuro, l’ambiente di un lembo del mondo dove la natura impone le sue leggi inesorabili, la rappresentazione dell ‘esistenza elementare della gente di quelle terre lontane, sensibili all’ospitalità come ad un obbligo civile, la morte come presenza che incombe e segna i limiti della vicenda umana, il rifiuto da parte di Libeccio dei carismi religiosi in omaggio ad una fede ,tutta laica, in un radicale mutamento della società fatta per gli uomini disposti alla schiavitù e non per gli uomini pervasi dallo spirito libertario e dall’ansia dell’infinito.
Questi ed altri temi minori, come la meschina attesa dei nipoti di Libeccio pronti a metter mano sul contenuto della cassetta gelosamente custodita dallo zio, non risultano irrelati, ma perfettamente fusi nello snodo della narrazione, governata da una straordinaria regia. Di qui la coerenza e la durata di un linguaggio che all’inizio di questa nota abbiamo definito, in termini danteschi, trasparente e terso.
Renato Filippelli
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