Il romanzo familiare del Pascoli - Carlo De Lieto
Questo testo di Carlo Di Lieto è per i tre quarti un’indagine psicologica e psicanalitica sulla personalità di Giovanni Pascoli, visto nel contesto di una famiglia percossa dalla sventura ed insidiata dalla nevrosi.
Non è questo il luogo per la rassegna delle disgrazie che funestarono la vita del poeta e promossero in lui il bisogno quasi maniacale della “casa-nido” come luogo di ricostruzione esistenziale. Pascoli riuscì a soddisfare questo bisogno, e nella casa-rifugio andò a vivere con le due sorelle, Ida e Maria. Il rapporto che egli instaurò con loro ebbe davvero un carattere incestuoso, come credono molti, fra i quali anche il nostro Vittorino Andreoli? Di Lieto risponde a questo quesito inquietante utilizzando la sua singolare attitudine all’ inchiesta sulla psicologia del profondo, lavorando con equilibrio e saggezza interpretativa sulla materia offerta dal poeta stesso, con i suoi comportamenti segnati dalla psicosi, da una sorta di regressione infantile, dalla pulsione della morte, dall’attrazione-repulsione per il sesso, dalla timidezza morbosa e dal bisogno di affermare una segreta coscienza di grandezza.
Il disegno di una siffatta personalità, i cui effetti morbosi furono certamente esaltati dall’ alcoolismo, al quale il poeta si abbandonò votandosi a morte prematura per cirrosi epatica, è un disegno che balza di plastica evidenza nel libro di Carlo Di Lieto.
Il poeta delle piccole cose, della campagna, dei cicli stagionali, degli uccelli, delle memorie d’infanzia, degli appelli alla solidarietà umana era nella vita pratica un individuo dalla psicologia complessa e tortuosa, riluttante ad inserirsi serenamente nella vita sociale. Egli era convinto di essere respinto da un mondo in cui non vedeva luce di bene: un mondo che gli aveva inflitto un’orfanezza precoce e che egli riteneva giusto odiare.
Stretto dalla morsa della solitudine, Pascoli ripiegò sugli affetti che gli parvero sicuri e capaci di proteggerlo da ogni insidia. Ripiegò sulle sorelle e riversò su di loro tutta la carica affettiva di cui era capace, e di cui aveva bisogno. Egli amò Ida e Maria non solo come sorelle, ma anche come figlie, come madri, come spose.
La presenza sororale nell’universo poetico pascoliano ha un alto indice di frequenza. Si ricordino, fra tanti altri, questi versi di uno dei “Poemi Conviviali” intitolato “Alèxandros”: “[ ... ] e intanto nell ‘Epiro aspra e lontana / filano le tre vergini sorelle / pel dolce assente la milesia lana, / e passa il vento, e passano le stelle”.
Di Lieto ha valutato e soppesato tutti gli elementi che potessero fugare ogni dubbio sull’incestuosità del Pascoli pervenendo alla conclusione che “è da escludersi una relazione d’amore fisico per Maria”. L’eventuale desiderio di amore carnale restò negli anfratti di una coscienza turbata, per la quale la certezza dell’affetto era necessaria come il respiro. Questa certezza il poeta l’attendeva soprattutto da Ida, e si può comprendere la delusione, certamente esagerata con punte di ambiguità, che il poeta avvertì quando Ida si sposò.
Pascoli, che continuò ad aiutare finanziariamente la sorella, vide nel matrimonio di lei un tradimento perpetrato non tanto contro di lui, quanto verso la “casa-nido”, che egli aveva offerto a se stesso ma anche alle due sorelle, relitti di una spaventosa tempesta.
Marina di Minturno, ottobre 2009
Renato Filippelli
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